Diversity Opportunity | Smartworking: cultura, lavoro per obiettivi, flessibilità e formazione per una “nuova normalità lavorativa”
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Smartworking: cultura, lavoro per obiettivi, flessibilità e formazione per una “nuova normalità lavorativa”

Intervista a Corrado Cingolani, HR Manager – Responsabile Relazioni Sindacali Atac Spa e Consigliere Direttivo AIDP Lazio

In Italia, l’argomento “smartworking” è già presente ancora prima della norma dell’ordinamento italiano,  denominata “LAVORO AGILE” Legge 81/2017.

Infatti, fino ad all’ora erano organizzazioni residenti nel nostro territorio, ma per lo più di cultura anglo-americana, a sperimentare una modalità di prestazione che esula dal paradigma retribuzione / prestazione, misurata nel tempo e nello spazio stabiliti.

Poi la pandemia Covid 19 e, se prima della relativa emergenza si contavano poco meno di 600mila lavoratori che ricorrevano al lavoro agile, poi, in pieno lockdown, è stata raggiunta quota 6,5 milioni di Italiani che hanno dovuto cambiare il modo di lavorare; ancora oggi, alcuni milioni di persone continuano a lavorare da remoto, con una percentuale oltre al 50% di dipendenti in smartworking nelle grandi aziende.

Questo approccio ha permesso alle aziende di proseguire le proprie attività, contenendo anche il fenomeno dei contagi da Covid-19, ma attualmente, terminato il periodo emergenziale le aziende devono pensare alla reale essenza dello smartworking, ovvero quale ‘nuova normalità lavorativa’ per la quale servono nuove competenze, formazione, maggiori investimenti in nuove tecnologie, riflessioni che in estrema sintesi sono scaturite dal Workshop organizzato da INAPP il 26 gennaio 2023.


Possiamo certo affermare che la pandemia ha rappresentato uno spartiacque per il fenomeno dello smart working, agendo da detonatore di un’eccezionale opportunità di sperimentazione su larga scala, ma dobbiamo altrettanto evidenziare che ha però generato una sorta di bolla, che ha dato luogo a uno snaturamento dell’istituto, con un utilizzo orientato alla salvaguardia della salute e sicurezza dei dipendenti e quasi totalmente svolto dalla propria abitazione.

Ora l’obiettivo a cui tendere è avviare l’implementazione di un reale e virtuoso smart working, dando il via ad un percorso verso un reale ‘lavoro intelligente’, valorizzando la matrice ibrida del modello organizzativo, nel perseguimento di un ottimale connubio tra lavoro in presenza e da remoto, in relazione a produttività/competitività e worklife balance.

La reale base della nuova modalità di prestazione è certamente l’organizzazione aziendale che deve trasformarsi in “smart organization” pertanto la riorganizzazione del lavoro e la reingegnerizzazione dei processi, sono alla base di tale percorso, che porta lo smart working  a divenire uno strumento utile alla crescita del mercato del lavoro, aumentandone la qualità del lavoro stesso.

Ci troviamo di fronte ad un sistema complesso in cui si corre il rischio che la tecnologica possa essere elemento di disintermediazione o generatrice di nuove forme di controllo e discriminazione, come per esempio la sensazione di isolamento  evidenziata durante il periodo di lockdown, oppure  le dinamiche di esclusione, precedenti all’introduzione del lavoro agile, che il periodo pandemico ha accentuato o evidenziato.

La necessità di garantire l’effettivo esercizio dei diritti e tutele (quali quelli sindacali e alla disconnessione) e riconosciuta da molteplici riflessioni, passa attraverso la leva della contrattazione collettiva, in un dialogo virtuoso tra i livelli della stessa nel quadro della normativa di riferimento. Anche in questo caso sono molteplici i contratti sindacali aziendali che hanno dato impulso al nuovo e organico approccio.

Difatti, una delle caratteristiche dell’approccio allo smartworking è l’interdisciplinarità, essenziale ad affrontare la complessità del sistema e rendere l’organizzazione un ambiente utile allo sviluppo delle persone.

È il sistema che genera approccio al lavoro per processi, per i quali devono essere pensati ruoli utili al raggiungimento di obiettivi individuali e per il raggiungimento dei quali l’azienda deve abilitare le proprie persone a collaborare tra loro, spingendole ad innovare anche le modalità con cui raggiungono i propri risultati.

Questa dinamica virtuosa genera un valore aggiunto per l’organizzazione stessa e la contestuale realizzazione delle proprie persone,  che percepiscono il proprio ruolo  nei successi aziendali.

In questo contesto i pilastri del rapporto di lavoro perdono il loro fondamentale ruolo, il tempo e lo spazio diventano liberi e tornano ad essere risorse disponibile per le persone – sempre nell’ambito degli accordi contrattuali.

Fondamentale è il percorso di sviluppo dei processi nei quali le persone sono coinvolte in tutte le fasi, tramite la formazione esperienziale che permette agli individui di formarsi applicando praticamente il loro sapere, accrescendo competenze ed esperienze, all’interno di azioni di change management.

Se parliamo di smartworking dobbiamo quindi intendere un cambio culturale che modifica i paradigmi del mondo del lavoro, che responsabilizza la persona riguardo il proprio risultato.


Un contesto nel quale le diversità oggi presenti nel mondo del lavoro si integrano, dove il dialogo funge da ponte per avvicinare le diversità stesse e permette loro di sviluppare sinergie e conseguentemente, valore aggiunto alle organizzazioni.

Un sistema, sì complesso, ma necessario per affrontare la complessità delle tante diversità che oggi si confrontano.  Necessario ad ognuno per potersi esprimere secondo il proprio essere e  le proprie competenze, integrando  valori e bisogni individuali, rimanendo comunque parte di un sistema organizzato, come le aziende sono.

Come i dati anticipati evidenziano, le grandi aziende stanno sviluppando questo cambiamento culturale, maggiori difficoltà si evidenziano nelle piccole medie imprese e nella Pubblica Amministrazione (fermo restando che esempi di buone pratiche sono presenti anche in queste ultime tipologie di aziende).

Le organizzazioni che non hanno avviato un cambio culturale e il conseguente change management, iniziano ad avere evidenti difficoltà nel trattenere ed attrarre le generazioni di lavoratori più giovani e quelle categorie di lavoratori che hanno maggiori necessità di una reale integrazione tra vita lavorativa e personale.

Certamente difficoltà esistenti anche prima dell’avvento della modalità di lavoro Smart working e del periodo pandemico; questi due elementi hanno però avuto anche il ruolo di cartine tornasole, evidenziando ciò che prima era meno evidente, ovvero il ritardo di molte organizzazioni nell’adeguarsi e  “cavalcare” la velocità del cambiamento determinato dalla transizione digitale.

Una azienda al passo con i tempi che è organizzata secondo le moderne modalità di lavoro, è una caratteristica essenziale che il dipendente e il candidato richiedono e ricercano  nel sistema di total reward,  nel quale l’elemento retributivo risulta essere solo un elemento seppur di fondamentale importanza ma che sempre più è comparato a sistemi di lavoro per obiettivi per flessibilità di spazi ed orari e presenza di reali percorsi formativi e di sviluppo.

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