Diversity Opportunity | Elisa: esperta in comunicazione e costruzione di ponti relazionali
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Elisa: esperta in comunicazione e costruzione di ponti relazionali

Intervista a Elisa De Luca, Founder at www.move@bility.org

 

Photo credit: Giuseppe Sirni

Ci racconti di te partendo da quelle che sono le TUE passioni distintive?  

Se tu fossi un quadro famoso, quale rappresenterebbe la tua voglia di “libertà di movimento”?
La mia più grande passione è la comunicazione, il creare “ponti” con gli altri, superando i confini linguistici, geografici, etc. Perciò ho scelto il web anche come ambito lavorativo, visto che, da più di dieci anni, mi occupo, per l’appunto, di comunicazione, marketing e pubblicità, sempre online, con varie declinazioni. Il web, per me, rappresenta in maniera molto efficace la “libertà di movimento”, non solo perché permette di entrare rapidamente in connessione con persone e cose anche molto distanti da noi, ma anche perché, attraverso Internet, è sempre più possibile svolgere più facilmente molte mansioni quotidiane: dagli acquisti al disbrigo di pratiche burocratiche, dall’organizzazione di un viaggio all’acquisto di biglietti per eventi e manifestazioni culturali e sportive, solo per fare qualche esempio. Per chi convive con limitazioni fisiche o sensoriali, inoltre, il web non è solo una fonte d’informazioni su percorsi, location ed eventi accessibili, ma anche un potente strumento di socializzazione ed inclusione, anche lavorativa. Se io fossi un quadro famoso, quale rappresenterebbe meglio la mia idea di “libertà di movimento”? Non è semplice individuare un’opera unica, ma, dovendo scegliere un artista, direi senz’altro Magritte, per il suo stile fluido e vagamente onirico, con i soggetti (sia le persone che gli oggetti) che, spesso, si “espandono” anche nello spazio.

 

Da dove nasce l’idea di move@bility, e chi vuoi che siano i tuoi destinatari?
L’idea di Move@bility nasce dalla mia esperienza diretta di persona che convive, per tutta una serie di coincidenze sulle quali non mi dilungo, con un’evidente disabilità motoria. Anni fa, in seguito ad un intervento chirurgico che, anziché migliorare la mia condizione, ha finito per peggiorarla notevolmente, dovendo organizzare un viaggio in aereo, ho scoperto un po’ per caso l’esistenza del servizio di assistenza per le persone con mobilità ridotta, che tutte le compagnie aeree e gli aeroporti offrono gratuitamente. Mentre ero a bordo dell’aereo, in viaggio verso la mia meta, m’è venuto naturale pensare a quante persone, in quello stesso momento, magari si stavano privando di quel piacere perché non erano a conoscenza del servizio o non sapevano come richiederlo. Da lì è partita l’idea di creare un sito sul quale raccogliere informazioni utili a facilitare la quotidianità di chi convive con una disabilità. Ma i miei destinatari non sono solo le persone con disabilità: quello che cerco di fare, mettendo a frutto le mie competenze e partendo dalle mie esperienze professionali e di vita, è contribuire alla diffusione di una visione alternativa della disabilità e dei temi ad essa connessi, primo fra tutti quello dell’accessibilità. La parola-chiave, per me, è PERSONE: chi ha una disabilità (non “è disabile”, perché ciascuno di noi è molto più di un’unica caratteristica) è, innanzitutto, una persona, come chiunque altro, con sentimenti, ambizioni, pregi e difetti. Facendo propria quest’idea, secondo me, diventa più facile, addirittura naturale pensare, per esempio, che progettare edifici e spazi urbani accessibili a tutti non sia un vantaggio solo per una (neanche sparuta) minoranza, ma per tutta la società.

 

Quali cambiamenti vorresti vedere nella tua città attraverso move@bility?
L’ho detto già rispondendo all’altra domanda: vorrei che passasse il concetto secondo il quale una società più “inclusiva” non è un vantaggio solo per chi ha un handicap, ma per tutti. Se le persone con disabilità sono messe nelle condizioni di essere parte integrante della società (lavorando, uscendo, divertendosi, facendo shopping, viaggiando), non solo contribuiscono a creare ricchezza (anche economica), ma fanno anche sì che si riduca il bisogno di “assistenzialismo”. Non esiste UNA disabilità, ma tante. Ciò rende, da un lato, più difficile rispondere efficacemente ai bisogni di tutti e, dall’altro, fa sì che, spesso, si pensi che basti una rampa per rendere un luogo “accessibile”. Così non è, perché, se la rampa facilita una parte di persone con disabilità, non risponde, da sola, alle esigenze di altre, quando non diventa, addirittura, un ulteriore ostacolo. Ecco: vorrei che la progettazione e la riqualificazione degli spazi urbani coinvolgessero il più possibile tutti i soggetti interessati. Non come “gentile concessione” o atto di “goodwill”, come si dice nei Paesi anglosassoni, ma in forza della convinzione che, dovendo essere fruiti da tutti, quegli spazi debbono essere adatti a tutti.

Cosa vuol dire per te limite? E cosa suggerisci a chi segue il tuo blog per superare i limiti che vede intorno?
Non ho la pretesa di offrire ricette “universali”, né di essere un “modello” per nessuno. Anche per questa ragione, sul mio sito (più che blog, preferisco definirlo sito informativo), parlo poco di me (e compaio ancora meno), preferendo, piuttosto, condividere notizie, iniziative, informazioni che possono essere utili ad altri. Per me, “limite” è ciò che impedisce il raggiungimento di un obiettivo, grande o piccolo che sia. Fin da piccola, sono stata educata a pensare che superare tali limiti dipendesse anche (almeno in parte) da me, dal mio impegno e dalla mia volontà. Se c’è un “messaggio” che cerco di trasmettere attraverso Move@bility (soprattutto sui canali social) è che lamentarsi e basta non cambia le cose: per raggiungere un obiettivo, bisogna impegnarsi in prima persona. Non sempre ciò è sufficiente, è vero. A volte, è necessario fare “sistema”, mettersi insieme ad altre persone, per farsi sentire. Ecco: questo è, forse, un punto dolente, perché le persone con disabilità che, anche grazie ad Internet e ai social, s’impegnano per l’abbattimento delle barriere architettoniche e culturali, sono tante. ma ciascuna tende a farlo “in solitaria” o, al più, facendo riferimento “alla propria categoria” di appartenenza. Mi è capitato varie volte di cercare di entrare in contatto con altre persone con disabilità diverse dalla mia impegnate sul mio stesso fronte, proponendo di farci sentire insieme, non ognuno per sé, ma, in molti casi, non ho ricevuto risposta o mi sono sentita dire che, non utilizzando una sedia a rotelle per spostarmi ed essendo autonoma, “non posso capire”. Credo che il primo passo da fare sia uscire da questa visione egocentrica, per guardare all’obiettivo comune e cercare di realizzarlo insieme. Perché, tornando al concetto che ho esposto all’inizio, solo attraverso i ponti si entra in contatto con gli altri, non certo erigendo muri.

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