19 May Matteo Maria Abrogi, CIO @ Arkage, tratteggia la sua esperienza come Mentor nella Challenge OpenUP
Cosa ha significato per i ragazzi del gruppo lavorare ad una prima sfida remoto
Innanzitutto per tutti loro è stata probabilmente un’esperienza che potrei definire “Professionalizzante”. Questa iniziativa li ha fatti entrare a contatto con il mondo del lavoro in modo concreto e realistico.
L’hackathon è stato vissuto in ogni momento e in ogni fase come un confronto di professionisti, tra professionisti in smartworking.
Vibrava una tensione competitiva sana, di un team che lavorava congiunto per raggiungere uno scopo ben preciso: fornire al Cliente un progetto completo ed efficace.
L’interazione da remoto è stata forse un elemento fluidificante perché ha consentito a un gruppo di ragazzi, sparso per l’italia, di lavorare con agilità ed efficienza, senza alcuna difficoltà o alibi delle mura domestiche a proteggerli.
Erano professionisti nei propri uffici.
Come li hai visti reagire in questo momento di crisi
I ragazzi hanno riversato grandissimo entusiasmo nel progetto come fosse il viatico verso l’uscita dalla crisi.
Hanno reagito con energia, speranza e, soprattutto, propositività: nel lavoro, nel modo in cui hanno impostato il progetto, in cui lo hanno costruito, si evinceva tutta la voglia di uscire dal guscio, di confrontarsi con il mondo del lavoro, di fare esperienze professionali vere.
Si percepiva che l’energia che veniva riposta nel progetto era la propulsione a proiettarsi fuori casa, verso il futuro.
La crisi non li ha fermati, li ha solo caricati come delle molle. E ora sono pronti a scattare ancora più lontano.
Un consiglio per il loro futuro nel momento della ripartenza
Solo i Saggi possono dare consigli.
Un suggerimento che invece mi permetto di dare è lo stesso che do a me stesso ogni volta che mi siedo davanti ad un foglio bianco, quando parte un progetto totalmente nuovo, di cui non so ancora che percorso seguirà, perché è tutto in mano a me e non ho uno storico cui fare riferimento.
In quel momento, in cui ho solo le mie competenze a supportarmi, parto da esse per fare i primi passi, ma poi non mi fermo e non mi appoggio mai solo su di esse, ma resto curioso, attento e fertile, costantemente.
Prendo in prestito un concetto di Dante con cui descrive le anime nel Paradiso: ogni anima è un vaso che si riempie. Noi però dobbiamo pensare che quel vaso non deve mai riempirsi.
Ciascuno deve coltivare le proprie competenze, che sono il supporto costante, ma si poi deve continuare a studiare, a imparare, a estendere la capienza di quel vaso: non fermarsi mai.
Restare curiosi come fanciulli e diventare maturi, magari un po’ più saggi, ma mai vecchi, ma fermi, mai stagnanti in un vaso stracolmo solo delle proprie certezze.
Fertili, curiosi: smontare e rimontare, verificare se quel metodo è ancora il “più giusto” o se c’è qualcosa di meglio.
In una frase: il viaggio della conoscenza professionale e personale non dovrebbe mai arrivare alla tappa, ma essere un cammino lungo tutta la vita in cui si uniscono sempre più puntini, in cui sempre più tasselli compongono un mosaico di competenze, conoscenze ed esperienze, che si devono intrecciare in una composizione sempre più grande e sempre più complessa e articolata.
Buon viaggio a tutti noi!
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